Il già apprezzato Presidente dell’INPS Tito Boeri ha scritto un articolo (Non solo questione di numeri, Repubblica, 31 dicembre 2019) alquanto confuso dimostrando di non sapere come misurare la produttività dei parlamentari.
La presenza alle votazioni in aula certamente non è una misura di produttività. Spesso quelle votazioni giungono al termine di un lungo iter in Commissione e su molti disegni di legge non c’è oramai più conflitto. Davvero la produttività di un parlamentare si misura sui disegni di legge da lui/lei “sfornati” che non hanno nessuna possibilità di essere presi in considerazione, giustamente, poiché, da un lato, sono messaggi, oramai abbastanza rari, mandati agli elettori, ma più spesso sono “favori” restituiti a qualche gruppo di interesse che, in effetti, è il vero autore di quel disegno di legge? Comunque, se produttività è produrre disegni di legge, allora Boeri dovrebbe essere fermamente contrario alla riduzione del numero dei parlamentari. Infatti, quanti più sono i parlamentari tanti più saranno/sarebbero i disegni di legge.
Propongo, a Boeri e ad altri, che la produttività venga misurata con riferimento non ai disegni di legge, che è preferibile siano presentati dal governo espresso da una maggioranza parlamentare e quindi legittima/ta, ma con riferimento alla rappresentanza. Che cosa fanno i parlamentari per dare rappresentanza politica ai loro elettori, agli elettori in generale? Allora, sì, Boeri capirà che, in realtà, il problema e la produttività dipendono proprio in larghissima misura dalle leggi elettorali, dalla loro capacità di collegare concretamente gli elettori al parlamentare che hanno eletto. Qui il discorso si fa più complesso e la misurazione richiede criteri adeguati, non causali, non occasionali. Another time, another place. Tuttavia, per qualcosa che è più di un’approssimazione come risposta, suggerisco di leggere il mio Minima Politica. Sei lezioni sulla democrazia (UTET 2020), delle quali una è sulle leggi elettorali, un’altra è proprio sulla rappresentanza.