
Non è difficile capire perché i politici e le (donne) politiche fanno uso dei social. È vero che in campagna elettorale e nelle poche iniziative che riescono ad organizzare avevano detto “vi ascolto” (un modo per non rispondere). Poi, però, piombano nella solitudine. Fare un tweet, presentarsi su Instagram (Facebook è già troppo esigente, richiede un ragionamentino in almeno una decina di righe), consente di dimostrare di essere presenti, di sapere individuare i temi importanti, di parlare alla “ggente”. Per alcuni di loro è un modo di fare politica. Quel che hanno frettolosamente scritto viene ripreso da altri che, più o meno ossessivamente, stanno (è il verbo giusto) sui social. Qualche volta sono addirittura i quotidiani, ansiosamente sfogliati, che li citano. Certo, c’è un po’ di competizione. Allora, bisogna scervellarsi a trovare l’argomento più notiziabile, non soltanto arrivando con il commentino prima degli altri, ma mostrando qualche originalità. No, di sense of humor è meglio non parlare anche se i migliori, rarissimi, ma allora sono politici di rango nazionale, riescono ad esibirsi nel sarcasmo. Quello da me più apprezzato, lo sa, viene prodotto da Massimo D’Alema. Tornando a terra, dovendo “stare sul pezzo”, spesso i politici si lasciano andare a commenti malpensati, di pancia. Per qualcuno va bene persino così. Dovendo rimediare, “chiedere scusa”, talvolta sostengono di essere stati fraintesi, talvolta fanno marcia indietro. Quello che conta è che il loro nome circoli e appaia sui giornali. Le smentite sono utilissime. Twitto ergo sum.
Pubblicato il 30 novembre 2021 su Il Resto del Carlino