
Nella tragica, non da oggi, situazione del Medio-Oriente non può, oggettivamente e augurabilmente, esserci un vincitore. Israele sa che può annichilire Hamas e gli Hezbollah per un certo periodo di tempo, ma non può cancellare i palestinesi né, tantomeno, l’Iran. Dal canto loro, i terroristi, teocrazia iraniana compresa, dovrebbero avere acquisito la consapevolezza che, per rendere la Palestina libera “dal fiume al mare” , sarebbe inevitabile innescare un conflitto anche nucleare. Nel primo caso, obiettivo che Netanyahu persegue anche per continuare a rimanere al potere, l’impossibile annichilimento non potrà che essere temporaneo. Con esagerato pessimismo, si può e, forse, si deve aggiungere, che, da un lato, soltanto la democratizzazione dell’intera area (una nuova primavera non solo araba), e dall’altro, la fuoruscita di Netanyahu sostituito da governanti che imbriglino i coloni, riuscirebbero a porre le basi iniziali minime di una soluzione ragionevolmente (avverbio al quale mi abbandono) duratura. Che quella soluzione significhi “due popoli due Stati” è facile dirlo, ma di enorme difficoltà progettarlo.
Nel frattempo, il progetto urgente consiste nel porre fine alle devastanti azioni e reazioni armate, magari riflettendo su come Hamas abbia potuto costruire un imponente e costosissimo reticolo di cunicoli variamente arredati e su come gli Hezbollah siano riusciti ad ammassare enormi quantità di armi e missili lungo un periodo ventennale. Fallimento delle (plurale) organizzazioni di intelligence oppure deplorevoli connivenze di alcuni stati che si compravano in questo modo la sicurezza interna?
Gli USA, protagonista indispensabile, non sono in questa fase di campagna presidenziale, in grado di svolgere credibilmente le attività necessarie. C’è da augurarsi che chi entrerà nella casa Bianca abbia la preparazione, le conoscenze e la determinazione per farsi valere. L’Unione Europea, grande donatrice di fondi ai palestinesi, sembra essersi ritagliata uno spazio di profilo bassissimo in attesa che la nuova Commissaria prenda pieno possesso della sua carica e si giovi del non avere bagagli pesanti provenienti dal passato. Tuttavia, forse, esiste un passato potrebbe portare qualcosa di positivo. Il punto più elevato di accordo fra israeliani e palestinesi fu raggiunto nel 2000 fra il primo ministro Ehud Barak e il presidente Yasser Arafat con la mediazione del Presidente USA Bill Clinton.
Qatar e Egitto sembrano ragionevolmente in grado di esercitare qualche forma di mediazione, ma se il conflitto in Palestina va oltre quell’area geografica, ci vuole qualcosa, molto di più. Pertanto. il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, per quanto sgradito ad Israele, dovrebbe farsi dare dalla sua organizzazione un vero e proprio mandato da condividere con la Commissaria Kaja Kallas e con alcune poche personalità accettabili sia dagli israeliani sia dai palestinesi (credibilmente rappresentati da chi?). Dovrebbero essere proprio loro a indicare nomi accettabili di negoziatori. Personalmente, sono convinto che sarebbe opportuno fare ricorso all’esperienza dell’ex-presidente Clinton. Libero da condizionamenti politici, forte del risultato ottenuto a suo tempo e sostenuto da alcuni suoi esperti collaboratori di un quarto di secolo, Bill Clinton sarebbe sicuramente in grado di esercitare un ruolo molto importante.
Pubblicato il 26 settembre 2024 su Domani