Quasi dappertutto e molto spesso l’errore classico dei riformisti è consistito nel ritenere esaurito il loro ruolo una volta disegnate riforme impeccabili. Qualche volta quelle riforme venivano poi danneggiate nel passaggio parlamentare. Infine, diventavano quasi irriconoscibili nella fase di attuazione, nell’implementation. Gli apparati burocratici non erano disponibili a fare buona accoglienza a qualcosa nella cui elaborazione non erano stati coinvolti. Ritenevano di saperne di più. Volevano dimostrare che non dovevano essere “bypassati”. Attuando le riforme le stravolgevano. Naturalmente, non era mai sufficiente buttare la responsabilità del fallimento sulle spalle degli alti burocrati e di quelli medio-bassi poiché, nella loro ansia di produttività, spesso erano stati i riformisti a non tenere conto dell’esistente e dei meccanismi di attuazione.
Ho l’impressione che, decidendo di escludere la burocrazia, dalla formulazione dei programmi necessari per ottenere i cospicui fondi del NextGenerationEu, il Presidente del Consiglio abbia dato troppo ascolto a coloro che la criticano in blocco. Considerando tutti gli alti burocrati italiani indiscriminatamente lenti e inefficienti, Conte si era costruito una task force piramidale con sei manager e 300 collaboratori, tutti esterni ai Ministeri competenti per materia. Il coordinamento doveva essere politico: lui al vertice e i Ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri, e dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, con il Ministro dei Rapporti Europei Enzo Amendola a fare da trait-d’union con la Commissione. Giustamente, anche il Parlamento (da meglio precisare) si è sentito emarginato.
Fermo restando che i parlamentari dovrebbero sapere come imporsi al governo, chiamarlo a riferire, rivendicare un monitoraggio frequente e incisivo, la governance prospettata da Conte era, come dire?, alquanto sbilanciata sul versante tecnocratico, in maniera effettivamente criticabile. Sentite le molte, anche se non sempre precise e costruttive, critiche sembra che il Presidente del Consiglio abbia intenzione di procedere ad un riequilibrio. Meglio se sarà un riequilibrio per aprire a più opinioni, a più indicazioni e soprattutto ad un rapporto di collaborazione fra tecnici esterni, indispensabili, e alti funzionari preparati e ansiosi di contribuire. Da temere è, invece, un riequilibrio, di cui sento qualche sordo rumore sullo sfondo, in chiave politica: “bisogna che nella task force ci sia qualcuno dei nostri”. Purtroppo, è molto noto che nei ranghi della burocrazia italiana non sono pochi quelli che hanno i loro politici di riferimento e regolarmente si posizionano.
Meno noto è che nell’ampia burocrazia ministeriale esistono isole di eccellenza che i Ministri competenti avrebbero già dovuto individuare, apprezzare e valorizzare. Nei fondi europei previsti per l’Italia una parte non piccola è destinata proprio alla Pubblica Amministrazione per renderla più efficiente anche con la digitalizzazione. La grande occasione che l’utilizzo di quei fondi offre consiste, da un lato, proprio nella riforma stessa della burocrazia nazionale grazie a processi di reclutamento e di formazione che la portino all’altezza delle sfide che i migliori fra gli alti funzionari italiani conoscono bene se hanno frequentato le riunioni europee confrontandosi con i grands commis francesi, i civil servants inglesi e i burocrati tedeschi. Dall’altro lato, gli alti funzionari italiani saranno di conseguenza messi alla prova dell’attuazione di misure e riforme alle quali loro stessi hanno, almeno in parte, contribuito nella fase di elaborazione. Diventerà possibile valutarne ulteriormente le competenze e il rendimento, anche paragonando le loro prestazioni. Certamente, poi, tutti o quasi cercheranno di dare il loro meglio alla ricerca di prestigio e di meriti che ne facilitino la carriera. Diventerà più facile distinguere i più capaci da coloro che, per qualsiasi ragione, siano inadeguati.
Il punto decisivo è che i burocrati ai quali si è offerta l’occasione di contribuire nell’elaborazione sentiranno anche il dovere di impegnarsi nella realizzazione di quelle riforme, nella loro attuazione di successo. L’alternativa la conosciamo: chiamarsi fuori, operare da freno, sabotare silenziosamente. Sono tutti comportamenti che, non soltanto in Italia, i burocrati sanno abilmente praticare. Invece, la loro partecipazione ai procedimenti di formulazione dei programmi eliminerà ogni alibi e servirà ad aprire un percorso virtuoso.
Pubblicato il 23 dicembre 2020 su Domani