
Il protocollo c’entra come la tipica zuppa turca a merenda. Michel si è fatto goffamente sorprendere. Non ha saputo prontamente reagire. Si è dimostrato subalterno al sultano. Non ho dubbi che David Sassoli, Presidente del Parlamento Europeo, avrebbe prontamente ceduto il posto a Ursula von der Leyen. Mi avventuro nell’onirico e dico che avrebbe potuto farlo lo stesso Erdogan, magari ordinando di predisporre tre sedie invece di due. No, il messaggio che Erdogan voleva mandare è stato chiarissimo. I due leader dell’Unione europea andavano a chiedere conto della non ratifica della Convenzione di Istanbul “sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”. Decine di migliaia di donne turche avevano già manifestato contro la mancata firma di Erdogan. Alla repressione di quelle manifestazioni Erdogan ha aggiunto impassibile anche uno sgarbo istituzionale certamente premeditato. Se, poi, i responsabili del protocollo dell’Unione erano stati consultati e avevano accettato quelle disposizioni senza discuterne con la Presidente della Commissione e del suo staff, meglio procedere subito alla loro sostituzione.
Nel frattempo, è assolutamente opportuno andare più a fondo per capire le motivazioni, non soltanto naturalmente sessiste, dei comportamenti e delle omissioni di Erdogan. Gran parte della sua plateale convinzione di impunità è il prodotto della geopolitica che lo favorisce, ma che non è immutabile. La Turchia ha costituito lo scudo, peraltro lautamente ricompensato, alle ingenti ondate migratorie provenienti prevalentemente dalla in-finita guerra civile in Siria (e dai conflitti nei paesi limitrofi). Erdogan ha dimostrato di saperne profittare ovvero di trarne grandi profitti. La debolezza della politica estera dell’Unione Europea, che dipende dal mancato coordinamento poiché alcuni stati-membri non intendono rinunciare alla loro indipendenza di comportamenti (che, peraltro, non li porta lontano), ha fatto il resto.
Non sarà l’aggiungere una sedia al tavolo di qualsiasi incontro con gli autocrati medio-orientali, mentre lanciano il loro personale rinascimento, a cambiare la situazione. Ma, certamente, non sarà neppure concedere il beneficio di un improponibile dubbio che contribuirà a costruire un ordine politico accettabile in quanto non basato su discriminazione e repressione. Più che altrove è proprio in Turchia e nel Medio-oriente che migliorare la condizione delle donne promette una trasformazione positiva complessiva e di lungo periodo. Quella sedia mancante deve essere considerata la molla per politiche coordinate lungimiranti.
Pubblicato il 8 aprile 2021 su huffingtonpost.it