
Due voti sono meglio di uno. Lo sanno perfettamente i francesi con il loro maggioritario a doppio turno di collegio, e i tedeschi, voto per candidati e voto di lista. Entrambi sono consapevoli di avere il potere, in qualche caso addirittura il dovere, di differenziare il loro voto.
La legge elettorale per i sindaci dei comuni al di sopra dei 15 mila abitanti, alla cui stesura mi onoro di avere contribuito, prevede per l’appunto che gli elettori abbiano due voti. Uno per scegliere il candidato sindaco che preferiscono; l’altro per votare la lista/partito di loro gradimento anche, semplicemente, dando la preferenza ad un/a candidato.
Il voto è disgiunto quando, scelto il sindaco, l’elettore dà il suo voto ad una lista/partito diversa da quella del candidato sindaco oppure, persino, a candidati che non si trovano fra le liste/partiti che sostengono quel sindaco, e viceversa. Non è possibile sapere con precisione quale è la percentuale di elettorato che decide di fare uso del voto disgiunto. Dipende, naturalmente, da molti fattori: la popolarità del sindaco, politico o civico, la campagna elettorale di alcuni candidati e il peso e la coesione delle associazioni che li sostengono, il gradimento dei partiti. Talvolta quella minoranza di elettori che votano “disgiunto” può fare la differenza sia nell’elezione dei consiglieri comunali sia nel mandato più o meno ampio e personale per il sindaco eletto sia, infine, nel sostegno all’opposizione. Il voto disgiunto è un’ottima risorsa per gli elettori pensanti.
Pubblicato il 16 settembre 2021 su Il Resto del Carlino