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Più sovranità all’Europa per salvarci dall’irrilevanza @DomaniGiornale

L’Italia “consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni” (art. 11). Non c’è dubbio che alcuni dei Costituenti pensassero anche ad un organismo simile all’Unione Europea, e già ci stavano lavorando. Degna di nota, anche alla luce degli scontri più recenti e, in particolare, della campagna elettorale dei “minuseuropeisti”, è l’espressione “limitazioni di sovranità”(nazionale). Oggi sappiamo che quelle limitazioni sono molte e significative, ma non sono interpretabili come cessioni senza ritorno, senza riacquisizioni, possibili, ma costose: Brexit docet. Sappiamo anche che le limitazioni di sovranità alle quali ciascuno Stato-membro ha acconsentito e ancora acconsentirà, ad esempio, in materia di difesa, contemplano la condivisione della sovranità al livello di competenza conseguito nell’Unione. Riappropriarsi di alcune parti di sovranità implica, di conseguenza, escludersi dalla condivisione, dalla compartecipazione. Altri decideranno, ed è molto improbabile che lo facciano tenendo conto delle posizioni nazionali/ste ovunque siano formulate. Del tutto logico che la mancata presenza si traduca in influenza nulla o quasi.

Peraltro, già attualmente, in non poche occasioni, neppure la presenza dell’Italia conta se chi la rappresenta non possiede alcune qualità essenziali: un alto livello di preparazione sui dossier da discutere, competenza personale, credibilità del proprio sistema paese nella traduzione fedele e rapida delle decisioni prese, capacità di costruire coalizioni maggioritarie con i rappresentanti di altri Stati-membri. Tutto questo è noto ai capi di governo, ai Commissari, agli europarlamentari degli altri Stati-membri che traggono le somme di quanto gli italiani sanno, possono, vogliono, riuscirebbero a fare. Meno Europa, dunque, viene inevitabilmente interpretata, non come Meloni desidera, ovvero uno o più passi verso l’improbabile costruzione di una Confederazione, ma come disimpegno e come la frapposizione di ostacoli al processo decisionale europeista con la crescita dei costi, in termini di tempi, energie e anche fondi, per tutti, a scapito di tutti.

Gli oppositori dell’Europa che c’è, si collochino con Meloni oppure si mettano con Salvini, non sono affatto impegnati nell’elaborazione di alternative politiche e decisionali in una pluralità di settori che, come Meloni dichiara spesso, vadano nel senso dell’ampliamento degli ambiti nei quali si applicherà la sussidiarietà. Non vogliono (ri)conquistare potere con la relativa responsabilità. Vogliono evitare che l’Unione giudichi, con i canoni da tempo accettati e vigenti, le loro politiche sociali, culturali, comunicative, le modalità con le quali funziona il loro sistema giudiziario. Quanto fatto da Orbán, il suo decantato illiberalismo, è quello cui aspirano: meno libertà di pensiero, di stampa, di circolazione, meno diritti civili.

Senza inutili e controproduttivi infingimenti, coloro che stanno dalla parte di “più Europa” debbono ricordare e sottolineare che la Costituzione prevede e consente le relative limitazioni di sovranità nazionale che servono a fare crescere e potenziare la sovranità europea, proprio come ha detto il Presidente Mattarella, e che gli europei siamo noi. Debbono anche continuare a mettere in evidenza che le risposte europee più efficaci, come avvenuto in occasione del Covid e vaccini, si producono nelle aree più integrate. Qualsiasi sfida, se non globale, comunque sovranazionale, può essere affrontata e sconfitta non da sovranità nazionali che si muovono in ordine sparso e talvolta conflittuale, mors tua vita mea, ma da sovranità condivise e concordi. Allora, il prestigio e l’orgoglio identitario e nazionale si giocheranno sulla bontà delle soluzioni proposte e sull’abilità di attuarle. Questo mi pare il terreno più appropriato per il confronto fra sovranisti e (più)europeisti.

Pubblicato il 5 giugno 2024 su Domani


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