Avevo appena pubblicato, fine luglio 1977, il mio primo articolo su un quotidiano (“Il Giorno” diretto da Afeltra), con qualche critica al ruolo del PCI nel governo di solidarietà nazionale guidato da Andreotti che mi arrivò, durissima, la reprimenda dell’allora direttore de “l’Unità”, Emanuele Macaluso. Fu in un certo senso il mio incontro con il quotidiano “fondato da Antonio Gramsci”. Ovvio che lo leggevo già, non tutti i giorni, ma da allora la mia/nostra interazione divenne più frequente: qualche critica in più fino all’invito a collaborare nelle pagine della cultura. Ricordo, su commissione di Ferdinando Adornato, il responsabile di quelle pagine, un necrologio di Raymond Aron nell’ottobre 1983, una recensione al libro, Io, l’infame, del brigatista Patrizio Peci e una riflessione comparata sul fattore K, la tesi di Alberto Ronchey sul perché i comunisti occidentali non sarebbero mai andati al governo in quanto tali.
Non ricordo esattamente quando venni invitato anche a scrivere editoriali, con mia grande soddisfazione e con qualche eco nel corpo dei dirigenti di partito (che leggevano “l’Unità”). Infatti, fui spesso chiamato dal 1985 in poi nelle federazioni a discutere del tema allora dominante (sic): le riforme elettorali e istituzionali. Poiché avevo in sede di Commissione Bozzi suggerito, non il superamento della proporzionale, ma un sistema che arrivasse alla competizione fra due coalizioni con il ballottaggio per ottenere un premio di maggioranza, fui invitato a spiegarlo e a difenderlo in tutte le salse sulle pagine del giornale. Il dibattito era apertissimo anche se la linea ufficiale fu data da due editoriali, a distanza di un anno o poco più, con lo stesso titolo “La proporzionale è irrinunciabile”, firmati da Renato Zangheri e da Nilde Jotti. Qualche anno più tardi dal Presidente della Camera Giorgio Napolitano mi giunse un bigliettino autografo a chiedermi di “rettificare” le critiche che dalle pagine de “l’Unità” avevo indirizzato alla elaborazione del Mattarellum.
Cambiavano i direttori, D’Alema, Renzo Foa, Veltroni, Caldarola, ma, per mia fortuna, tutti continuavano a chiedermi commenti di prima pagina e interventi politici, compresa una recensione non proprio elogiativa ad un libro di Bruno Vespa sollecitatami da Veltroni. Scrivevo frequentemente e liberamente. Non mi fu mai chiesto di cambiare neppure una virgola. Quei direttori tanto diversi fra loro si limitavano a darmi il titolo dell’argomento: svolgimento libero. Nessun mio articolo fu mai cestinato e neppure messo in sala d’attesa per giorni e giorni. Come si capisce, non potrei dire altrettanto di alcune esperienze con altri quotidiani nazionali. Negli anni Duemila non tutti i Direttori che si susseguirono furono interessati alla mia collaborazione. Fui “ripescato” prima da Antonio Padellaro, con il quale intavolammo un dialogo fitto su alcuni miei editoriali, e da ultimo da Luca Landò.
Credo di avere scritto più di cento articoli per “l’Unità” e ne sono lietissimo. E’ stata un’esperienza gratificante di “battaglia” politica a viso aperto, di scambi e scontri di opinione, di diffusione di idee e proposte e di formulazioni, come si conviene al migliore dei giornali “politici”, di soluzioni. So che, non soltanto è troppo facile, ma è persino banale affermare che la cessazione della pubblicazione de “l’Unità” impoverisce in maniera significativa il già non proprio brillantissimo panorama dei quotidiani italiani, ma è decisamente così. In non pochi di questi quotidiani, la politica la fanno i resoconti dei giornalisti intrisi di preferenze politiche e apprezzamenti di leader. Forse, una sinistra che oscilla fra faziosità e tifo e che non dimostra nessun interesse per il confronto cultural-politico si merita di restare senza “l’Unità”, almeno per un po’. Personalmente, ma sicuramente non da solo, ne sentirò la mancanza.
Pubblicato su l’Unità del 31 luglio 2014