Ho incontrato Alberto Arbasino varie volte, soprattutto negli anni ottanta e novanta. Spesso ai concerti di Santa Cecilia a Roma quando con poche parole mi dava una spiegazione illuminante dell’esecuzione dell’orchestra accompagnandola con alcune indicazioni per meglio comprendere quella musica, spesso una sinfonia. Dal 1983 al 1987 fu deputato per il Partito Repubblicano. Gli dissi che aveva incautamente accettato la candidatura per un’attività che non gli sarebbe affatto piaciuta, che l’avrebbe piuttosto infastidito pur offrendogli una insostituibile opportunità di osservare i rappresentanti eletti dell’Italia, la classe politica. A lui, acutissimo osservatore e fustigatore (questa parola non gli sarebbe sicuramente piaciuta) di costumi, il Parlamento offriva non il meglio e non il peggio dell’Italia, ma un luogo e una fauna (anche su questo termine immagino la sua obiezione) meritevoli di essere clinicamente osservati. Per chi ne volesse, e ne dovrebbe, sapere di più sulle modalità di osservazione di Arbasino, consiglio il libro Fratelli d’Italia, pubblicato la prima volta nel 1963, quando l’autore aveva 33 anni, e rivisto e ampliato fino al 1991. Ironico e caustico, brillante e controcorrente, contiene la visione di un’Italia che non vorremmo, ma che è proprio la nostra. Siamo noi. La sua “casalinga di Voghera” è diventata una figura leggendaria. Molti di quelli che la citano, però, non ne colgono tutti gli elementi e non sanno farne un uso flessibile. La riducono ad uno stereotipo, che non era affatto né l’intenzione né lo scopo di Arbasino. Quella casalinga viveva in provincia, per l’appunto a Voghera, luogo natale dello stesso Arbasino, non propriamente scintillante. Era esposta a quello che veniva dalle città e che vedeva nella televisione che le portava in casa il mondo. Non era, però, affatto priva di spirito critico. Anzi, me l’immagino che, grazie ad Arbasino, fosse diventata in grado di smitizzare e di sbeffeggiare politici e pomposi intellettuali, coloro che facevano uso del potere per vantarsi e coloro che facevano uso del sapere per dimostrare la loro superiorità di classe e di talento. Non importava che gli intellettuali parlassero e scrivessero in modo astruso, non come vezzo, ma per incapacità di rendersi comprensibili a causa del loro oscuro e confuso pensiero. Ciononostante, la casalinga di Voghera li decrittava (sì, scusami, Arbasino), guardava e passava oltre. Con il fluire degli anni, nella tranquillità della provincia, usufruendo di tempo libero, la casalinga di Voghera ha imparato a usare il computer e, naturalmente, è diventata assidua frequentatrice dei social. La troverete su Twitter e WhatsApp, meno su Facebook poiché non ama mettersi in mostra. Non ha affatto smesso di farsi beffe dei politici e degli intellettuali. Non si permetterebbe mai di dire che il suo mentore, Alberto Arbasino, è uno snob poiché conosce l’etimologia: sine nobilitate. Al contrario, concorda con me: Arbasino appartiene alla ristretta schiera degli aristocratici del gusto e dello stile.
Pubblicato AGL il 24 marzo 2020