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Che cosa voleva dire Draghi all’Europa

Tutt’altro che incline a spettacolizzare le sue scelte di gestione economica e meno che mai la sua persona, Mario Draghi ha scritto un articolo molto importante pubblicato dal “Financial Times” qualche giorno fa. Tristemente, nel dibattito pubblico, l’articolo di Draghi ha finora ricevuto molta meno attenzione di quella che merita. Cercherò di spiegare perché formulando alcune ipotesi e traendo quelle che ritengo essere conseguenze ineludibili. Per cominciare, sottolineo che il “Financial Times” è, insieme al “Wall Street Journal”, il più importante quotidiano economico del mondo, e che, in generale, la sua visione dell’economia e dell’Unione Europea è sempre stata piuttosto distante da quella di Draghi e dalle modalità con le quali ha agito come Presidente della Banca Centrale Europea. La decisione di pubblicare è, probabilmente, stata dettata dalla straordinarietà della crisi prodotta dal coronavirus e dalla convinzione condivisa del senso di urgenza e drammaticità della situazione (da fare conoscere anche al Primo Ministro della Gran Bretagna). Tutto l’articolo di Draghi, argomenta punto per punto, politiche che gli Stati-membri dell’Unione Europea dovrebbero attuare molto rapidamente e che gli organismi dell’Unione Europea dovrebbero accompagnare e sostenere senza esitazioni. La risposta indirettamente pervenuta dalla riunione telematica del Consiglio dei capi di governo è stata assolutamente deludente. Benissimo ha fatto Giuseppe Conte a non firmare il documento conclusivo e a imporre un altro incontro fra due settimane. Sostanzialmente, Draghi propone quasi un rovesciamento delle politiche economiche neo-liberali finora seguite dall’Unione in buona misura poiché imposte dalla Germania, con la sua ideologia dominante dell’Ordoliberalismus, ma, questo punto è molto importante, condivisa da non pochi altri Stati-membri dell’Europa centro-settentrionale fra i quali si distingue per durezza e malposta intransigenza l’Olanda. C’è una componente quasi religiosa nel chiedere che chi fra gli Stati del Sud si trova in difficoltà paghi sulla sua pelle il prezzo dell’indisciplina, dei “peccati”, non solo economici, che li hanno condotti a chiedere sostegno. In maniera soffice e elegante, non meno laicamente “religiosa”, Draghi fa notare in avvio del suo articolo che in situazioni di tragedie umane abbiamo un dovere di solidarietà reciproche. Poi,affonda uno degli elementi chiave dell’Ordoliberalismus (inserito nel Patto di Stabilità e Crescita), cioè il tabù del debito pubblico il cui incremento deve essere accettato. Cito: “Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato”. La ineluttabilità che il debito pubblico aumenti è strettamente collegata ai compiti che gli Stati debbono svolgere a cominciare dal “fornire un reddito di base a coloro che perdono il lavoro” e a “incanalare la liquidità verso le imprese in difficoltà”. Ancora più esplicitamente, dovranno essere “i governi ad assorbire una grande parte della perdita di reddito … se si vogliono proteggere posti di lavoro e capacità”. Infine, Draghi chiede “un cambiamento di mentalità” affinché, “in quanto europei” ci si sostenga “a vicenda nel perseguimento di ciò che è evidentemente una causa comune” (corsivo mio). Sostanzialmente, l’ex-Presidente della Banca Centrale Europea sta, da un lato, spingendo quella Banca in una direzione fortemente interventista, in larga misura, sembrerebbe, condivisa dalla Presidente Christine Lagarde, dall’altro, qui forzo un po’, fa rivivere il keynesismo, impossibile in un solo Stato, come politica economica e sociale europea, dell’Unione. Invece di “tirarlo per la giacchetta”, operazione alla quale non obietto, per chiamarlo a salvare la patria Italia, con modalità tutte da definire, sarebbe preferibile che le autorità politiche italiane mirino ad ottenere un consenso ampio fra gli Stati-membri dell’UE proprio sulle politiche delineate da Draghi.

Pubblicato il 31 marzo 2020 su il Fatto Quotidiano


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