Una volta avuta la prova che quella di Tsipras in un referendum che non avrebbe mai dovuto indire (altro che prova di democrazia) è stata una vittoria di Pirro, le diciotto democrazie dell’Eurozona hanno concesso al Primo ministro greco una nuova possibilità. Cancellando, alla faccia del “popolo” greco, ovvero di quel terzo che aveva votato “No” alle condizioni del negoziato, i suoi impegni, Tsipras è stato obbligato a fare nuove proposte. In sostanza, ha guadagnato, o perduto, a seconda dei punti di vista (il secondo mi pare più convincente), tempo. Crescono i problemi in Grecia, le banche rimangono chiuse, i debiti accumulano altri interessi. Tuttavia, la proposta greca, non più appesantita dall’ingombrante figura di Varoufakis, va, almeno nelle riforme interne che Tsipras tardivamente promette, nella direzione giusta. Anzi, si pone nel solco dei sacrifici già fatti, con lacrime e sangue, ma anche con successo, da Irlanda, Portogallo, Spagna.
Purtroppo, per Tsipras, per la Grecia e, ahinoi, per tutti paesi dell’Eurozona, ha fatto la sua inevitabile comparsa un altro fattore, finora solo strisciante: la fiducia. Nelle democrazie, come sono tutti i sistemi politici dell’Unione Europea (anche se il capo del governo ungherese Orbàn fa del suo peggio in materia), contano le opinioni pubbliche. I politici più avvertiti tengono grande conto delle loro opinioni pubbliche. Non le insultano; non le ingannano. Se sono capi di organizzazioni partitiche vere, radicate, come si dice nell’italiano politichese, “nel territorio” hanno antenne sensibili che riportano quanto si sente, quanto si muove, quanto si preferisce. Non soltanto i tedeschi, ma molti capi di governo hanno ricevuto dalle loro opinioni pubbliche un’informazione sgradevole, ma, sicuramente, degna di attenzione.
La maggioranza degli europei non si fidano dei greci. Pensa che fanno promesse che non manterranno. Non li ritengono credibili neppure, come scrisse Virgilio nell’Eneide, quando “portano doni”. E Tsipras non ha proprio nessun dono da portare. Al contrario, vorrebbe esenzioni, proroghe, addirittura regali. Per di più con le sue dichiarazioni, da ultimo, con il suo discorso al Parlamento Europeo, ha cercato, in maniera davvero troppo orgogliosa, di scaricare buona parte della responsabilità delle condizioni del suo sventurato paese sulle spalle dei creditori, definendoli “terroristi”, delle banche e dei banchieri e, indirettamente, dei paesi più solidi dell’Unione Europea, di quelli che rispettano le regole e pretendono che tutti lo facciano. Soltanto coloro che rispettano le regole sono poi legittimati a chiedere che siano cambiate, magari spostando le politiche comuni dall’austerità alla crescita.
Se, come sembra, il negoziato all’Eurogruppo scivola dai numeri, dalle riforme, dalle promesse alla fiducia, allora un suo esito positivo appare sempre più difficile, molto improbabile. Non è chiaro se la Germania, non priva di sostenitori fra gli altri stati, desidera davvero escludere la Grecia dall’Eurozona, dandole cinque anni nei quali rimettere in sesto le sue finanze, con una sua moneta e con il pieno controllo della sua economia –per quanto “piena” possa essere l’autonomia economica di un paese piccolo e molto impoverito. Quello che, invece, è lampante è che la mancanza di fiducia reciproca distrugge qualsiasi possibilità di tenere insieme un progetto, quello dell’unificazione europea, nato proprio intorno alla volontà di sei, dieci, quindici, infine ventotto paesi, di credersi parte di uno stesso mondo. Come l’Eurogruppo riesca a uscire dalla spirale letale della mancanza di fiducia è impossibile prevederlo.
Pubblicato AGL il 12 luglio 2015
Uno dei pochissimi, purtroppo per noi, che dice e scrive cose semplicemente sensate.