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Cinque stelle tanti nodi

Quasi tutto il moralismo spicciolo, da applicarsi senza complicazioni alla politica italiana, del quale il Movimento 5 Stelle ha fatto una vera e proprio filosofia politica, sta venendo al pettine. La vantata inesperienza di chi non doveva avere ricoperto cariche per essere candidato del Movimento si è rivelato un grosso inconveniente, prima in Parlamento, con almeno due anni passati a destreggiarsi nei corridoi e nelle aule del Palazzo. Poi, nonostante che Virginia Raggi fosse pure stata consigliera comunale per qualche tempo, è seguito il pasticciaccio brutto della scelta degli assessori e della composizione di una giunta sempre barcollante. Il governo della città di Roma, che doveva essere il trampolino per arrivare a Palazzo Chigi, si sta rivelando un enorme impaccio, appesantito dalla non collaborazione di qualche esponente del Movimento al quale la Raggi proprio non va giù.

La formuletta attraente, ma priva di reale significato, “uno vale uno”, da un lato, non consente di attribuire cariche sulla base di una graduatoria di merito e di competenze; dall’altro, si sta rivelando fasulla. Vale forse nelle espulsioni, non nelle promozioni, ma, soprattutto, è chiarissimo che c’è qualcuno, Grillo e Casaleggio figlio, che vale molto più di uno. Non c’è partecipazione telematica che tenga per colmare divari di potere, inevitabili in politica. Anzi, la non-partecipazione di coloro che pure fanno parte del Movimento rivela che, più o meno consapevolmente, sono molti che non si fanno un’opinione e che alla partecipazione preferiscono la delega.

Poco di questo, però, possiamo conoscere a sufficienza poiché anche la circolazione delle informazioni risulta gravemente carente. Poche informazioni poco apprendimento politico poca crescita culturale del movimento. Di conseguenza, l’obiettivo di una democrazia partecipante, che, comunque, richiede molto più di qualche rapporto fra un computer e una piattaforma, non è minimamente conseguito. Quello che sembra conseguito è una costante della politica italiana.

Nel non-partito delle Cinque Stelle hanno fatto la comparsa le non-correnti dietro i non-candidati alla carica di Presidente del Consiglio. Questi non-candidati, finora rigorosamente uomini, vanno in TV, vengono frequentemente intervistati, dichiarano e smentiscono. Cercano anche, più o meno efficacemente, qualche battuta o elemento che ne consenta la facile identificazione popolare (di recente, il tour in motocicletta di Di Battista). I non-criteri per la scelta di quella che, anche se ridimensionata da una non-legge elettorale, sarà comunque una candidatura importante per comunicare all’elettorato qualcosa in più sul Movimento, obbligano gli ambiziosi a riposizionamenti che sono frequentissimi nei partiti tradizionali.

Sparito il ballottaggio, il Movimento può mirare soltanto a diventare il non-partito più votato. Soprattutto per scongiurare questo esito, fin troppi giornalisti e commentatori continuano a tenere alto, anche con qualche esagerazione, il tiro della critica sulla sindaca di Roma, i cui comportamenti offrono il destro (e, se posso scherzare, anche il sinistro), dimenticando altre, più positive, esperienze di governo locale ad opera delle Cinque Stelle. In definitiva, però, non sono le novità introdotte dal Movimento nella politica italiana che ne spiegano le alte percentuali di cittadini tuttora disposti a votarlo,ma la perdurante condizione della cattiva politica prodotta dagli altri partiti. Cosicché, tranne la comparsa di un imprevedibile loro disastro o di un ancora più imprevedibile miglioramento della politica italiana, le Cinque Stelle potranno continuare a permettersi il lusso di non sciogliere i loro nodi. Continueranno a “splendere” su quello che una volta, per il PCI, fu definito uno zoccolo duro. Lo zoccolo duro dell’italico scontento.

Pubblicato AGL il 6 febbraio 2017


1 commento

  1. Paolo Barbieri ha detto:

    Quello che non riesco a capire, è come in questa “…perdurante condizione della cattiva politica prodotta dagli altri partiti.” e nell’insufficienza del M5S, il grande potenziale di cambiamento aggregatosi il 4/12 attorno ai Comitati del NO e Italicum e del CDC, sia lasciato avizzire nell’attesa dei misfatti della casta, invece di essere tenuto unito e vitale con iniziative assertive/propositive/impositive, esercitando quella Sovranità Popolare non solo in una accezione negativa, ma per disegnare un futuro diverso e migliore, sotto la guida corretta e orientata al bene comune dell’elite culturale che si è spesa per una difesa serrata della Carta.

    Azione che non può fermarsi alla difesa della forma, ma deve proseguire per affermare realmente i suoi principi. Sarebbe formidabile cominciare con la “nostra” nuova legge elettorale sottraendola alle brame tossiche della scadente maggioranza pro tempore di turno, esercitando direttamente l’articolo 71, rafforzato da una formale “petizione alle camere”, art. 50, che la contenga e che la “imponga”, assieme ad altre attese e opportune, che tanto impegno merita ben più di una norma, con la forza di milioni di firme non certificate e quindi facili.

    FACCIAMOLA NOI! neutra rispetto agli schieramenti, collaudata, funzionale, destinata a durare non solo il tempo di una legislatura. E se la proporzionale soddisfa al meglio l’indirizzo costituzionale, è anche vero che è un’esperienza già fatta e abbandonata per le sue disfunzioni.

    Da cittadino offeso dalla mediocrità parlamentare crescente nel tempo, fino ad aver ospitato in quel luogo-istituzione da cui tutto discende, persone poi finite giustamrnte nelle galere, ciò che chiedo con maggior forza alla legge elettorale, è di tenere quella mediocrità fuori dalle candidature e quindi dal Parlamento.

    E l’uninominale di collegio a doppio turno, alle mie scarse conoscenze, parebbe capace di svolgere molto bene il compito di filtro, spostando il confronto più tra le persone che tra i partiti, e inducendoli quindi a candidare persone eccellenti, cmq le migliori tra le loro, ben conosciute alle cronache dei piccoli collegi di residenza, capaci di reggere reciprocamente il confronto.

    Al primo turno sarebbe garantito il pluralismo, al secondo la governabilità con gli accordi intercorsi.

    E lo stretto legame col territorio, garantirebbe la rappresentanza anche agli astenuti.

    Paolo Barbieri

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