Cambiare il Partito Democratico? Si può, sostiene Roberto Esposito su “Repubblica” (24 agosto). È facile. Però, bisogna che gli intellettuali che criticano il PD si iscrivano al partito. Lo cambieranno da dentro. Come mai non ci (mi metto, non abusivamente, fra gli intellettuali critici) abbiamo pensato prima? Per fortuna che, adesso, grazie ad Esposito, i filosofi non si limitano più a studiare il mondo, ma cercano di cambiarlo. Non so quanto mondo conosca il filosofo Esposito. Sono, invece, sicuro che non conosce i partiti politici e, meno che mai, il PD (come partito, non come dirigenti). Lascio da parte che, anche se, nel peggiore dei casi, il PD avesse circa 300 mila iscritti, sarebbe difficile per gli intellettuali di sinistra vincere numericamente qualsiasi battaglia interna a qualsivoglia organismo di partito. Riuscirebbero mai ad ottenere la maggioranza in un circolo del PD? A Bologna certamente no. Lì hanno vinto coloro che volevano candidare Pierferdinando Casini al Senato e poi l’hanno anche fatto votare (e votato davvero!). Altrove, bisognerebbe fare un’analisi circolo per circolo, ma ho regolarmente assistito a votazioni nelle quali facevano la loro comparsa truppe cammellate di iscritti tempestivamente invitate per l’ora nella quale si sarebbe tenuta la votazione. Grazie a interventi “sapientemente” misurati, la votazione aveva luogo quando gli oppositori si erano stancati e i cammellati erano arrivati.
Peraltro, il problema per l’iscrizione di massa degli intellettuali comincerebbe proprio dalla richiesta della fatidica tessera. Infatti, qualsiasi domanda di iscrizione può essere respinta dal direttivo di qualsiasi circolo. Le motivazioni del respingimento sarebbero tutte molto plausibili. Come si fa a dare la tessera a quello lì che ci critica da anni oppure a quello lì che si è opposto alle riforme costituzionali oppure a quell’altro che ha votato LeU, l’ha detto pubblicamente, se n’è vantato? Non siamo affatto convinti che l’aspirante condivida, minimo, il programma del partito, e così via. Iscrizione a rischio, spesse volte lasciata ad libitum dei dirigenti del partito locale i quali, ovviamente, hanno i voti e sono in grado di respingere persino gli eventuali simpatizzanti di un altro leader locale che sia in minoranza. No, il filosofo Esposito non conosce il Partito Democratico e le sue dinamiche. Sembra che non conosca neanche il funzionamento dei partiti in generale. Avrebbe, forse, potuto (dovuto) rafforzare il suo bizzarro invito all’iscrizione di massa degli intellettuali con qualche esempio di successo tratto da sistemi politici nei quali la trasformazione di uno o più partiti è avvenuta con la procedura da lui suggerita.
La un tempo famosissima Bad Godesberg (1959) grazie alla quale la SPD riuscì a accreditarsi come partito non a vocazione maggioritaria, ma governativa, avvenne in seguito all’iscrizione di massa degli intellettuali tedeschi a quel partito? La creazione del Parti Socialiste in Francia nel 1971 fu il prodotto di spostamenti di masse di intellettuali al seguito di François Mitterrand oppure di una lunga elaborazione culturale e politica in club nei quali si trovavano settori della società civile, borghesia progressista, imprenditori, alti funzionari statali, laureati della Grandi Scuole d’Amministrazione (non ricordo la presenza di filosofi), ma soprattutto della leadership politica? La trasformazione del Labour Party in New Labour all’inizio degli anni novanta del secolo fu il seguito di un boom di iscrizioni di intellettuali oppure di un cambio generazionale e di una consapevole lotta politica condotta da Tony Blair, Gordon Brown e alcuni esperti di comunicazione politica? Qualcuno potrebbe anche voler chiedere a Esposito in quale conto i fondatori del Partito Democratico hanno dato prova di tenere gli intellettuali nel 2007 e poi, ad esempio, nel 2018 per le candidature al Parlamento.
Nessuna iscrizione di massa al PD è possibile a meno che i non meglio definiti intellettuali critici del partito si organizzino come falange compatta (non proprio la modalità organizzativa preferita e praticata dagli intellettuali chiunque siano) prima di qualsiasi azione nei confronti del PD. Altrimenti, quasi sicuramente sarebbero risucchiati nelle logiche di funzionamento interno di un partito organizzato in piccole, settarie oligarchie. Soprattutto, una volta ufficialmente iscritti, troveranno molti ostacoli all’espressione del loro dissenso. Forse, però, è questo l’obiettivo di Esposito: fare risucchiare gli intellettuali critici e, mentre lui continuerà a scrivere su “Repubblica”, sostanzialmente silenziarli.
Pubblicato il 25 agosto 2018

Egregio Professore, Le scrivo qui in risposta non tanto all’articolo in commento, quanto al Suo recente intervento a La7, nel quale Ella ha rappresentato che il PD e la sinistra in genere, a partire dagli anni 90 del secolo scorso, hanno tutelato non i lavoratori e i ceti popolari, ma i poteri aristocratici parassitari.
In merito, premetto che tale Sua posizione appare ai miei occhi sicuramente corretta, come del resto evidente oramai; tuttavia, mi consenta di affermare che la Sua opinione pecca di imprecisione: più esattamente, risulta riduttiva.
Le espongo la mia obiezione partendo non da dotte analisi, ma dalla mia esperienza personale. Quando entrai al liceo, agli inizi degli anni 70, ero uno dei pochi allievi che provenisse da un ceto popolare. Difatti, la stragrande maggioranza apparteneva alla media ed alta borghesia. Molti di loro, come frequente in quegli anni, erano di sinistra, per cui mi ritrovavo circondato da figli di notai e medici e giornalisti, tutti vestiti di stracci costosissimi, che mi ripetevano che studiare era cosa da fascisti e che il mio dovere, da “buon proletario”, era partecipare a manifestazioni di protesta, sotto la loro sapiente guida ovviamente.
Quindi, egregio Professore, questo virus aristocratico, che si è manifestato in forma diffusa e pandemica dagli anni 90, in realtà affligge la sinistra ab immemorabili e, anzi, mi sentirei di affermare che è da sempre un suo connotato caratteristico.
Pertanto, Le suggerirei approfondire la Sua analisi iniziando a porsi una domanda e a darsi la relativa risposta. La domanda è la seguente: COME MAI OGNI MOVIMENTO O PARTITO O INIZIATIVA DI SINISTRA PARTE SEMPRE SOTTO L’IMPULSO DI UN DI VITTORIO E FINISCE IMMANCABILE O QUASI IN MANO A UNA BOLDRINI?
Io una risposta me la sono data, ma non gliela anticipo, per non influenzarLa.
Con i migliori saluti.