Time is money è un’espressione attribuita a Benjamin Franklin, uno dei più famosi padri della Costituzione degli Stati Uniti d’America. Talvolta, prendere tempo può essere utile per acquisire informazioni e per procedere a una decisione più consapevole. Però, se le informazioni sono già ampiamente disponibili prendere tempo può significare perdere, più o meno deliberatamente, tempo. La discussione sulla TAV, già ampia e aperta a tutti, sembra essere diventata un caso da manuale del come perdere tempo in attesa di qualche evento risolutivo. Invece di essere illuminata dall’analisi costi-benefici è diventata ancora più confusa e inquinata da evidenti intenti manipolatori.
È del tutto corretto calcolare i costi monetari nei quali incorrerà lo Stato italiano per la parte di tracciato che gli compete. È altrettanto giusto valutare i benefici in termini anche di risparmio sui costi di trasporto di merci e persone, ma fa parte di questi benefici anche la riduzione dei tempi di trasporto. Controversa è la valutazione dei costi-benefici con riguardo all’ambiente poiché la costruzione della TAV potrebbe causare danni di lungo periodo nelle zone circostanti da commisurare alla riduzione dell’inquinamento attualmente (e nel futuro) prodotto dai mezzi che si muovono su gomma. Valutati i tempi, lo stesso Franklin sosterrebbe che vi sono alcuni altri elementi da prendere in seria considerazione dei quali nessuna analisi costi-benefici dovrebbe scordarsi. Il corridoio Budapest-Madrid è un’opera europea nella quale hanno già investito molti Stati e alla quale l’UE ha destinato molti fondi, anche per lo Stato italiano. L’Italia ha firmato accordi e preso impegni. Decidesse che la TAV non passerà nel suo territorio non soltanto dovrebbe restituire quanto ha già ricevuto, ma uscirebbe da una rete di comunicazione ritenuta essenziale dagli Stati-membri dell’Unione, nessuno dei quali, né gli europeisti né i cosiddetti sovranisti, l’ha (ri)messa in discussione. Il governo italiano straccerebbe accordi e violerebbe impegni. Non basterebbe affermare che quegli accordi furono stilati e quegli impegni furono presi dai precedenti governi, peraltro anche di composizione e colore diversi.
Per dirla in maniera un po’ retorica, un’opera come la TAV riguarda lo Stato e non un governo. Da quel che si evince dai giornali, dalle newsletter di fonti diverse, da commenti di vario tipo che circolano sul web, in Europa la preoccupazione per una decisione negativa del governo italiano è diffusissima. Fra i costi di non costruzione della TAV, forse sarebbe opportuno inserire anche la perdita di prestigio e di credibilità dei governanti italiani, di oggi e di domani. Tutti conterebbero molto meno nelle sedi decisionali quando si tratterà di assumere impegni collettivi. Nessuno più sarà considerato attendibile nelle sue prese di posizione e promesse. Quando i governanti italiani avranno bisogno di “credito”, com’è frequentemente avvenuto nel passato e di recente, chi si fiderà di loro? Il costo della sfiducia è davvero elevato.
Pubblicato AGL il 12 marzo 2019