Ho sempre sostenuto e, per fortuna, anche scritto (quindi, è possibile controllare la veridicità delle mie affermazioni) che l’Unione Europea, persino nei momenti di maggiore difficoltà, non rimaneva mai bloccata. Faceva regolarmente dei passi avanti, piccoli, lenti, zoppicanti, ma avanti. Non si trovava mai a scegliere fra la disastrosa disgregazione e riforme epocali, le sole che la salvassero. Ho sempre sostenuto anche che l’Unione Europea e le sue istituzioni non soffrivano/soffrono affatto di insuperabili deficit democratici, ma hanno alcuni problemi di funzionalità. Il Consiglio Europeo* 17-20 luglio ha detto molte cose importanti (per quel che riguarda importanza e entità delle risorse economiche esauriente è l’intervento di Paolo Onofri che condivido in toto), ma soprattutto ha segnalato che le istituzioni dell’Unione funzionano. La Commissione Europea, fatta da uomini e donne con precedenti esperienze di governo anche ai massimi livelli nei loro paesi, quindi non “burocrati” né, in larga misura, tecnocrati, ha formulato, suo compito politico fondamentale, una proposta. Dopo un necessariamente lungo negoziato, quella proposta è stata quasi totalmente accettata, con variazioni minime sulla distribuzione dei fondi. Il Consiglio Europeo, sicuramente un organismo democratico poiché composto dai capi di governo degli Stati-membri, i quali, dunque, hanno una maggioranza politica che li sostiene nei loro paesi, ha lungamente discusso, alla fine approvando senza nessun dissenso. Inoltre, è stata respinta la richiesta del Premier olandese Mark Rutte che voleva che i prossimi piani di ripresa dei singoli Stati fossero approvati dal Consiglio all’unanimità.
Come procedura decisionale l’unanimità non è assolutamente democratica. Da un lato, consente ad uno stato di esercitare enorme potere di ricatto nei confronti di tutti gli altri; dall’altro, implica che gli altri Stati sarebbero talvolta costretti a “comprare” quel voto con concessioni costose, privilegi, favoritismi sostanzialmente diseducativi. Si è, però, concesso ad uno Stato il potere di bloccare il programma di un altro Stato, freno di emergenza, ma l’ultima parola in materia di utilizzo dei fondi spetterà alla Commissione che ha la facoltà di decidere a maggioranza. Incidentalmente, in tutta la sua storia la Commissione e i Commissari si sono dimostrati i protagonisti più europeisti, tutti disposti a lavorare per fare avanzare il processo di unificazione politica dell’Europa. Fondi assegnati, programmi di utilizzo, valutazione complessiva del grado di successo conseguito nel tentativo di porre rimedio alle gravissime ferite economiche e sociali inferte dalla pandemia agli Stati e alla società europea saranno oggetto di discussione e di monitoraggio anche ad opera del Parlamento europeo. È giusto così poiché, anche se ci rammarichiamo di una partecipazione elettorale inadeguata, il Parlamento è il luogo della rappresentanza politica degli europei che produce informazioni, coadiuva l’attività della Commissione, approva il bilancio dell’Unione.
Il quadro complessivo è quello di istituzioni che sanno adempiere ai loro impegni, che riescono spesso ad andare oltre l’intergovernativismo, che hanno dimostrato di saper praticare la solidarietà e la cooperazione. Il sovranismo, ovvero la strategia per la quale ciascun Stato-membro cerca di strappare il massimo senza concedere nulla, ne esce sonoramente sconfitto. I sovranisti alzano la voce perché sono costretti ad abbassare la cresta. Gli europeisti sanno che l’opera è lunga, ma che è giusto godere il successo attuale che non sarà quello di una sola estate. Riguardatevi: l’Unione Europea è al vostro fianco.
Pubblicato il 20 luglio 2020 su paradoxaforum.com