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Lo sguardo corto di Meloni e gli interessi dell’Italia @DomaniGiornale

La diplomazia è anche un esercizio, spesso acrobatico, di equilibrismo. Ma, è vero che la politica estera di un paese che sia media potenza deve essere improntata alla ricerca degli equilibri, di volta in volta preferibili, tenendo nel massimo conto le alleanze, gli impegni presi, le promesse fatte agli elettori e, non da ultimo, le posizioni ideali del proprio partito.

Fin dall’inizio della sua esperienza di governo, Giorgia Meloni ha dimostrato di avere consapevolezza del fascio di problemi che il suo esplicito, mai nascosto, sovranismo implicava nei rapporti con gli Stati-membri dell’Unione Europea e con la Commissione, motore delle iniziative e attività. Pur rimanendo con la testa fuori dalla maggioranza che ha espresso e sostiene la Commissione è spesso riuscita a mettere piede nelle decisioni che contano. Lo ha fatto ridefinendo, ridimensionando il suo sovranismo senza tagliare i ponti con i partiti sovranisti al governo in Ungheria e in Slovacchia o all’opposizione, in particolare in Spagna. Però, la risposta alle furibonde e maleducate critiche all’Unione Europe formulate in un documento di  strategia del National Security Council degli USA e alla profezia, quasi un augurio di smembramento dell’Unione, non può essere quelle di un delicato pontiere.

Quel ponte, già traballante, fra Usa e Unione Trump e i suoi collaboratori lo hanno distrutto. Non casualmente e non per una infelice e cattiva scelta delle  parole, ma perché da tempo nutrivano astio per la costruzione di una unione di Stati che, secondo loro, si facevano/fanno proteggere militarmente senza pagare  il conto, in maniera furba e egoistica, non più accettabile.

La presidente del consiglio italiana non ha condiviso le risposte severe e preoccupate dei maggiori leader europei. Ancora una volta il suo invito a cercare di capire il punto di vista di Trump è molto ambiguo potendo essere interpretato come sostegno alla posizione del Presidente appare come un indebolimento preventivo delle risposte che l’Unione riuscirà ad approntare e dare. Per di più la reazione di Meloni ha lo sguardo molto corto. Non vede che le elezioni americane di metà mandato nel novembre 2026 potrebbero già trasformare il Presidente in carica, se i repubblicani perdessero la maggioranza in una o entrambe le Camere in un’anatra zoppa, comunque già non rieleggibile nel 2028.

Non dovrebbe essere difficile neanche per i dirigenti politici che non sappiano ragionare sul lungo periodo, come fanno gli statisti, cogliere la volatilità della situazione. I molto eventuali vantaggi derivanti da un rapporto privilegiato con l‘attuale Presidente dovrebbero essere valutati alla luce degli inconvenienti e delle critiche che causeranno nei rapporti con gli stati-membri dell’Unione Europea. Quegli ipotetici vantaggi non contemplano affatto una crescita di prestigio per il governo Meloni e per la Nazione Italia, Anzi sono vantaggi limitati, di breve periodo, effimeri. Da un momento all’altro possono rivelare la contraddizione congenita e insanabile del sovranismo.

Se ciascun governante antepone e impone il suo interesse nazionale, lo Stato più forte vincerà cosicché il sovranismo Maga è regolarmente destinato ad avere la meglio su qualsiasi concorrente solitario. Qui sta l’altra contraddizione del sovranismo che intenda sfruttare vantaggi dalla sua tanto orgogliosa quanto presunta autonomia. Non sostenuta dagli  USA, vista con sospetto dalla maggioranza partitica e politica dell’Unione Europea, Giorgia Meloni rischia l’irrilevanza politica per sé e per l’Italia. Indebolirebbe l’UE in questa fase cruciale nella quale è indispensabile alzare il tiro decisionale e migliorare il coordinamento politico in senso federalista, l’esatto contrario di qualsivoglia sovranismo. In una Unione indebolita anche l’Italia sarà inevitabilmente più debole sulla scena europea e mondiale, certamente meno sovrana.

Pubblicato il 10 dicembre 2025 su Domani


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