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Baratti e sospetti

Una brutta storia fatta di potenziali baratti e di inconfessabili sospetti si è temporaneamente conclusa con la decisione della Giunta per le elezioni del Senato di demandare all’aula di votare in modo palese sulla decadenza di Berlusconi da senatore. In via di principio, molti (e, per quel che conta, anche chi scrive) ritengono che il voto che riguarda le persone, a prescindere da raffinate sottigliezze giuridiche, debba essere segreto. La segretezza serve a tutelare chi vota da eventuali, nient’affatto improbabili, rappresaglie, s’intende, politiche. La segretezza mira anche a impedire a chi vota esibendo il suo comportamento di acquisire qualche ricompensa a futura memoria. Adesso, comunque, quasi certamente venti senatori del PdL, il numero necessario, chiederanno che in aula che si proceda al ripristino del voto segreto. Si vedrà.
La vera battaglia è sicuramente su Berlusconi senatore e capo partito, ma i baratti e i sospetti vanno molto oltre. Il Partito Democratico, nel quale non sono pochi i senatori che non avrebbero voluto sacrificare il voto segreto, ha temuto, giustamente, che nel segreto dell’urna qualche senatore delle Cinque Stelle avrebbe salvato Berlusconi con l’obiettivo di fare cadere il governo. Inoltre, quegli stessi senatori penta stellati avrebbero poi accusato i Democratici di essere stati loro a salvare Berlusconi per salvare il governo delle non troppo larghe intese. Le responsabilità di voti comunque sciagurati perché inconfessabili grazie al segreto non avrebbero mai potuto essere accertate.
Naturalmente, il governo non è per niente salvo. La probabile decadenza di Berlusconi sarà considerata un’ottima ragione, non soltanto da lui che lo ha già detto, ripetuto, urlato a chiarissime lettere, ma anche dai suoi “lealisti”, la ragione decisiva per fare cadere un governo che non l’ha protetto. Non è chiaro perché il Primo Ministro Letta avrebbe dovuto farlo –non sta né nelle sue prerogative né nei suoi poteri–, ma oramai conta la valutazione che Berlusconi e il suo entourage danno di questi avvenimenti. Berlusconi ha anche attribuito al Presidente della Repubblica la colpa, assolutamente fuori luogo e persino fuori dei poteri presidenziali, di non averlo difeso, di non avere dato la grazia a uno come lui che non ha mai voluto orgogliosamente chiederla, precondizione assolutamente necessaria, ma nient’affatto sufficiente.
Berlusconi sembra tentato dal firmare l’impeachment inopinatamente sventolato dal Movimento 5 Stelle che, peraltro, non sa di cosa accusare Napolitano: attentato alla Costituzione? Alto tradimento? Qui sì, che si troverebbe un oscuro baratto: il condannato per frode fiscale Berlusconi firma l’autorizzazione a procedere contro il Presidente della Repubblica in cambio, prima o dopo, di un voto penta stellato che non lo faccia decadere. Nel frattempo, tutt’e due, il Movimento Cinque Stelle e quel che resta del Popolo della Libertà impediscono qualsiasi riforma elettorale. Altro che sette giorni, come vorrebbe Napolitano che deve avere confuso il Parlamento italiano con Dio che in sette giorni creò il modo. Al Parlamento italiano non sono bastati sette anni per riformare il Porcellum e, a causa delle distanze fra i tre gruppi maggiori, nessuna riforma sembra ancora in vista. E, allora, il Presidente non lo scioglierà questo Parlamento di inetti e di ignavi, continuando a pungolarlo in attesa che l’elezione del nuovo segretario del Partito Democratico porti un po’ di chiarezza. Di certo non porterà una buona legge elettorale viste le confuse idee di Matteo Renzi in materia. La morale di questa brutta favola è che continueranno quelle che, con leggera ironia mista a reali preoccupazioni, Napolitano chiama fibrillazioni. Insomma, il governo galleggerà navigando a vista. Per fortuna che lo spread è in discesa seppure leggera e lenta. E Berlusconi è in fuoruscita, furibonda, ma oramai praticamente inevitabile.


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