
Troppo semplicistico sostenere che l’Unione Europea si trova fra due fuochi: uno, quello amico, che viene da un leader democraticamente eletto, Trump, che spara a casaccio; l’altro, sicuramente nemico, che viene da un autocrate repressivo e sanguinario, Putin, che ha una strategia di corto respira, ma chiara e pericolosa. Poi, dentro i singoli Stati-membri dell’Unione Europea covano altri fuochini e fuocherelli, nazionalisti, sovranisti, xenofobi, che mirano ad indebolirla fino a disgregarla, con qualche recupero di sovranità nazionali, magari nella difficile forma di una Confederazione, comunque un passo indietro.
Liste, fronti, partiti che, esibendo obiettivi autoritari che discendono da un passato che non è mai passato, sfidano apertamente, come solo in contesti democratici è lecito e possibile fare, sono stati finora, con qualche eccezione, esclusi dalla partecipazione al governo. Brandmauer, firewall, cordone sanitario, ma non bisogna dimenticare l’italica conventio ad excludendum, sono le parole usate per giustificare il rifiuto che i partiti democratici oppongono a chi le regole e i valori democratici dichiara di volere sfidare e schiacciare. Secondo alcuni commentatori sarebbe un errore non dare spazio agli oppositori, non dei governi, ma della democrazia in quanto tale. Ho un qualche ricordo che l’addomesticamento attraverso l’accesso al governo dei fascisti e dei nazisti non funzionò, produsse disastri. D’altronde, le coalizioni di governo, come dimostrerà anche il prossimo cancelliere tedesco, non sono un banale affare di numeri, ma si formano con riferimento alla vicinanza politica, almeno sui valori, alle esperienze vissute, e alla compatibilità programmatica.
Nell’Unione Europea si entra soltanto se il sistema politico rispetta le regole democratiche e, requisito non disprezzabile, se il sistema giuridico non contiene, non consente e non applica la pena di morte. No, gli USA di Trump non potrebbero diventare il 28ottesimo Stati della UE, ma il Canada sì (e l’Ucraina anche). Certo, un regime duramente autoritario come la Russia e una repubblica presidenziale possono mostrare capacità decisionali, ovvero di prendere decisioni in tempi brevi, superiori a quella di una federazione di Stati, ma, come già emerge nel contesto trumpiano, l’applicazione e l’attuazione di decisioni frettolose, talvolta di dubbia legalità, sono difficili e controverse. Certamente e inevitabilmente più lenta, l’Unione Europea ha comunque finora dimostrato, quando era necessario, di saper ergersi all’altezza della sfida. Se necessario, la pratica democratica, che non ha nulla a che vedere con diktat imperiosi, imperiali, imperialisti, consentirà di aprire trattative con Putin e con Trump.
Molto, adesso, dipende dalla rapidità con cui il democristiano Merz, prossimo cancelliere tedesco riuscirà a rilanciare quell’accordo con la Francia, già cruciale nel passato, per il quale il non ancora troppo debole Presidente Macron è tanto inevitabilmente quanto convintamente disponibile. Con più ampio, più esteso e più approfondito coordinamento in una pluralità di settori, a cominciare dagli armamenti a proseguire con la tecnologia e l’industria, con il sistema di tassazione fino al completamento del mercato unico, per il quale le proposte di Mario Draghi e Enrico Letta hanno risposte decisive, l’Unione Europea ha grandi inesplorate opportunità. Non sarà nessuna autonominatasi pontiera, s’illudono i sostenitori di Giorgia Meloni, con gli USA di Trump e delle sue politiche commerciali, a fare sfruttare al meglio queste opportunità. Sovranismi, anche soft, nazionalismi, xenofobie sono tutti palle al piede di un’Unione che può correre e crescere. Una Unione più veloce è possibile grazie alle sue risorse e allo snellimento delle sue procedure democratiche. Hic Bruxelles hic salta.
Pubblicato il 26 febbraio 2025 su Domani