Prima del referendum, la demagogia, ovvero la pretesa, ad opera dei governanti, di “guidare (verso l’astensione) il popolo”, ha avuto ampio spazio. Dopo il referendum, la demagogia si esprime nella pretesa di fornire l’interpretazione corretta, naturalmente l’unica, all’esito del voto. Anche in questa demagogia eccellono i sostenitori di Renzi, ma, nella peggiore tradizione italiana, nella quale vincono (quasi) sempre tutti, non rimangono soli. Allora, sia chiaro, anzitutto, che ha perso chi voleva il “sì” al quesito referendario, ovvero l’abolizione delle trivellazioni. Invece, ha vinto chi quelle trivellazioni vuole, per buone, ma anche per cattive ragioni, continuare a fare. Poi, è giusto e opportuno passare ai numeri e alle interpretazioni. Bisogna, però, anche sapere contare.
Politicamente, i sostenitori del “sì” possono sottolineare che più di tredici milioni di italiani si sono espresso a loro favore. Molto male fanno, dal canto loro, i sostenitori della continuazione delle trivellazioni a basarsi sul numero degli astenuti, addirittura ad esaltarlo come un grande successo (del governo). Infatti, fra I 35 milioni di italiani che non sono andati alle urne, ce ne sono certamente moltissimi che lo hanno deciso deliberatamente per non consentire il conseguimento del quorum. Omaggio del vizio alla virtù elettorale, questi astensionisti hanno preso atto che non avrebbero vinto con il voto esplicito e si sono comodamente/furbescamente trincerati nel non-voto. Poiché sappiamo che, oramai, nelle elezioni politiche, vota poco più del 70 per cento degli italiani, è anche possibile sostenere che la vittoria appartiene al 30 per cento e più degli astensionisti cronici. Di costoro non conosceremo mai le preferenze, ed è un peccato poiché politiche pubbliche complesse, comprese le trivellazioni, sarebbero forse migliori se i decisori ottenessero maggiori informazioni dall’elettorato.
Una democrazia decidente nella quale un terzo degli elettori non si esprime è destinata a squilibri e a piroette. Con riferimento al voto del 17 aprile, è possibile effettuare previsioni sull’esito del referendum costituzionale (plebiscito, se il capo del governo insiste a personalizzarlo) di ottobre? Poiché il referendum costituzionale non prevede quorum, né Renzi né Napolitano, che deve essere menzionato essendo sceso in campo con tutto il suo prestigio, potranno invitare ad una, per loro esiziale, astensione. Il referendum costituzionale sarà ad armi quasi (il governo gode sempre di maggiore visibilità e impatto degli oppositori) pari.
Pur tenendo conto che, molto, com’è giusto in una democrazia, dipenderà dalla campagna elettorale, dai toni, ma, sperabilmente, soprattutto dal merito degli argomenti usati a favore o contro revisioni costituzionali anche complesse, i dati del 17 aprile suggeriscono due considerazioni fondamentali. La prima è che grosso modo coloro che possiamo ritenere favorevoli alla riforma (quasi tutti gli astenuti) equivalgono sostanzialmente ai contrari, vale a dire a quasi tutti e forse qualcuno in più di coloro che hanno votato “sì” all’abrogazione delle trivellazioni. Seconda considerazione, ferma restando la mia critica a chi non vota, spesso nascondendo il disinteresse dietro un presunto diritto all’astensione, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, la percentuale complessiva dei votanti nel referendum costituzionale sarà molto importante. L’onere di portare alle urne elettori invitati ad astenersi il 17 aprile spetterà a chi ha voluto e fatto quelle revisioni. Tuttavia, il fronte del “no” alle riforme renzian-boschiane, con prefigurazione, grazie a Verdini e Alfano, del Partito della Nazione, non deve contare su una bassa affluenza grazie alla quale i loro sostenitori vincerebbero. Dovrà, invece, spiegare e convincere per vincere bene. Tra le (mie) interpretazioni e l’esito c’è, ovviamente, il procelloso mare della campagna elettorale nel quale naufragare sarà tutto meno che dolce .
Pubblicato AGL il 19 aprile 2016
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