Le posizioni assunte dai due alleati al governo sul delicato e complicato caso del Venezuela sono, nel loro genere, tanto limpide quanto contrastanti. Senza ambiguità Salvini afferma: “Prima tornano diritti, benessere e libertà in Venezuela, meglio sarà per il popolo”. Parlando a nome e per conto del Movimento Cinque Stelle, in base alla competenza sicuramente (sic) acquisita in seguito ad un suo lungo viaggio e alla residenza di alcuni mesi in Guatemala (senza, però, avere visitato il Venezuela), Alessandro Di Battista non ha dubbi: “firmare l’ultimatum UE al Venezuela è una stronzata megagalattica”. Il suo più stretto compagno d’armi, capo politico del Movimento, Luigi Di Maio annuncia che “non riconosciamo soggetti non votati” come se Juan Guaidò, il Presidente dell’Assemblea Nazionale, non sia stato eletto, prima per diventare deputato, poi per rimpiazzare ad interim Nicolás Maduro, “soggetto” vittorioso in elezioni presidenziali manipolate, che non è mai considerato legittimo dagli osservatori internazionali. Non è chiaro se la linea la dia, come dovrebbe, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Dalla dichiarazione nella quale ribadisce “la sua massima preoccupazione per gli ultimi sviluppi in Venezuela” è impossibile sapere che cosa intende fare il governo, ma sappiamo che cosa non ha fatto. Non ha firmato una dichiarazione degli Stati-membri dell’Unione Europea a sostegno di Guaidò. Ha altresì deciso di non esprimersi, contrariamente a Spagna, Francia, Germania, Gran Bretagna e Svezia (non proprio Stati e governi di carente legittimazione democratica), a favore di elezioni libere, trasparenti, con garanzie, da tenersi nel più breve tempo possibile, ma da annunciare fin d’ora.
Coerente con la sua visione “sovranista” sì, ma anche attenta alla drammatica condizione del popolo venezuelano, è Salvini che, seppur indirettamente, offre sostegno al ritorno della democrazia in un tormentato paese, nient’affatto carente di tradizioni democratiche. La posizione delle Cinque Stelle la dice lunga sulla loro ambigua e confusa concezione della democrazia. Su tutte le misure di democraticità, dalla libertà di stampa all’autonomia del sistema giudiziario, il Venezuela è collocato ben lontano dai regimi democratici. Inoltre, il suo esperimento populista e autoritario ha provocato, non tanto la “decrescita felice”, non molto tempo fa progettata da Beppe Grillo, ma un impoverimento drammatico della popolazione e un deflusso di quasi due milioni di venezuelani nei paesi limitrofi, in primis, la Colombia.
La non-posizione del governo, da un lato, segnala la mancanza di autonomia e di capacità decisionale del Presidente del Consiglio, dall’altro, indica un ennesimo allontanamento dalle scelte dell’Unione Europea che, inevitabilmente, saranno ripagate da un ulteriore declino di credibilità dell’Italia su altre questioni che contano come economia e migranti. Il Venezuela si sta rivelando un test che complessivamente il governo ha già fallito.
Pubblicato AGL il 5 febbraio 2019