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Democrazie in bilico, ecco come correggerle

Colloquio con Pasquino, atteso ad Arona la sera di venerdì 9 novembre 2018

Intervista raccolta da Manuela Borraccino

Il politologo: senza forte opposizione grave deficit

In una fase in cui «l’antipolitica dilaga, riverita e alimentata dalla comunicazione», il deficit democratico può fare la sua comparsa in tre casi, denuncia il politologo Gianfranco Pasquino. «Primo, quando il regime risulta inadeguato nelle sue strutture di rappresentanza e di governo; secondo, quando le autorità non hanno le competenze necessarie; e, terzo, quando i cittadini sono apolitici, impolitici e antipolitici». Tuttavia «l’esistenza di un deficit può costituire lo stimolo che spinge ad azioni migliorative» riflette con il nostro giornale lo studioso docente emerito all’Università di Bologna, atteso venerdì 9 novembre ad Arona per offrire delle chiavi di lettura dello stato dell’arte nelle democrazie occidentali sulla scia del suo ultimo saggio Deficit democratici. Cosa manca ai sistemi politici, alle istituzioni e ai leader (Università Bocconi Editore 2018; 192 pagg.; 16,50 euro; 8,99 epub).

Professore, le elezioni del 4 marzo hanno visto il trionfo della cosiddetta “anti-politica”. La vittoria del populismo rappresenta un deficit democratico?

Il paradosso è che in questo caso la democrazia italiana ha funzionato ed il deficit di democrazia è stato in parte colmato, poiché è evidente che i partiti usciti vincitori hanno dato voce ad un blocco maggioritario di cittadini che si sentivano poco rappresentati dai partiti tradizionali ed aspiravano ad una rappresentanza nuova, diversa. Non dimentichiamoci che godono del consenso di circa il 60 % degli italiani.

Dove vede il deficit maggiore in Italia?

Direi che il deficit maggiore si annida soprattutto nella crisi dei partiti tradizionali e dell’afasia dei loro leader: in particolare nel centro-destra con Forza Italia non c’è alcuna attività propulsiva mentre il Pd appare paralizzato in un’opposizione irrilevante alla Lega e al Movimento 5 Stelle, senza offrire alcuna rappresentanza politica agli elettori che ha perso e ad una prospettiva di cambiamento».

In un recente saggio il sociologo De Rita lamenta l’egemonia di una classe politica “prigioniera del presente” senza un progetto di sviluppo organico per il Paese. Lei che ne pensa?

Non sono sicuro che siano prigionieri del presente. La Lega ha una strategia chiara almeno fino alle elezioni europee del 2019: riuscire ad essere più forte in Italia per essere più forte in Europa. Per raggiungere tale obiettivo non esita ad allearsi con regimi autocrati come Mosca e altri Paesi dell’ex blocco sovietico. Ritengo assai più evidente la manifesta incapacità politica del Movimento 5 Stelle. Il fatto stesso che il premier Giuseppe Conte si definisca “un avvocato del popolo” che ritiene di dover “proteggere il popolo” lascia intravvedere come non abbia neppure capito dove si trovi: il presidente del Consiglio è infatti un rappresentante del popolo e non un suo avvocato, deve guidare il popolo e non difenderlo.

Un deficit dei leader come nel caso della Brexit?

Se si votasse oggi i britannici sarebbero di certo assai più informati sull’Europa.

Nel suo libro lei punta l’indice anche contro gli astensionisti. Chi non vota danneggia la democrazia?

Certamente, perchè la qualità di una democrazia dipende in modo speciale dalla qualità dei suoi cittadini. Le democrazie hanno bisogno di cittadini interessati alla politica, ovvero alle modalità di vita organizzata nella loro città. Informati sulla politica, altrimenti come si potrebbe concedere a loro il potere di scegliere chi dovrà formulare e attuare le politiche pubbliche che tutti ci coinvolgono e che tutti dovremo subire e pagare? Partecipanti, perché senza partecipazione non può esistere nessuna democrazia. E che si sentano efficaci, ovvero dotati di una ragionevole fiducia nella loro capacità di influenzare coloro che hanno ottenuto il potere politico.

Pubblicato il 2 novembre 2018


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