I numeri contano. La Presidente Ursula von der Leyen e l’intera Commissione hanno ricevuto dal Parlamento europeo un vero e proprio voto di fiducia: 461 voti a favore (contro i 423 ottenuti dalla Commissione Juncker) 157 contrari (contro i 209 precedenti). Abbiamo assistito a un limpido confronto fra gli europeisti e i sovranisti dei più vari colori. La sconfitta dei secondi, fra i quali si sono, naturalmente e coerentemente collocati la Lega di Salvini e i Fratelli d’Italia di Meloni, è stata molto netta. Adesso, la Commissione potrà affrontare i problemi dell’Unione, quelli urgenti, immigrazione e mutamenti climatici, e quelli strutturali, rilancio della crescita e contenimento/riduzione delle diseguaglianze, sapendo di godere di ampio sostegno dal Parlamento europeo e, al tempo stesso, nella consapevoIezza che quel Parlamento la stimolerà all’azione e ne controllerà l’operato. Molto opportunamente, la Presidente von der Leyen ha sottolineato che la composizione della Commissione è quasi giunta alla parità uomini/donne e che questa parità è un obiettivo da perseguire e conseguire nei prossimi cinque anni in tutte le situazioni rilevanti, lavoro e compensi inclusi. A fronte dei molti, troppi critici preventivi pieni di pregiudizi che comunicano spesso molto malamente quello che fanno parlamento e Commissione, e sostengono una sorta di immobilismo delle istituzioni europee, la realtà è, dunque, molto diversa. Il Parlamento europeo ha continuato a conquistare spazio, non solo in termini di rappresentanza dei cittadini europei, ma di influenza sulla Commissione. Formalmente, non possiede il potere di iniziativa legislativa, ma i potenti Presidenti delle Commissioni parlamentari sanno come comunicare le loro preferenze a Commissione e Commissari che, a loro volta, sono molto ben disposti poiché sono le loro convergenze e i loro accordi a consentire di superare le eventuali obiezioni e resistenze del Consiglio dove seggono i capi dei governi degli Stati membri. Dal punto di vista istituzionale, la situazione è in movimento poiché è oramai diffusa la consapevolezza che l’Unione sarà in grado di procedere alle molte scelte necessarie, fra le quali non bisogna affatto sottovalutare quelle della politica estera, della difesa e della sicurezza, soltanto superando malposte visioni nazional-sovraniste. Poiché su quelle materie, il Consiglio è tuttora obbligato a decidere all’unanimità, il prossimo passaggio sicuramente conflittuale consisterà proprio nel tentativo di superamento dell’unanimità. Dando enorme potere a un solo qualsiasi stato, che può bloccare tutti, ad esempio, impedendo, come ha fatto Macron, di aprire la procedura di adesione a Albania e Macedonia del Nord, l’unanimità è una regola non democratica: uno conta più di qualsiasi maggioranza. La sua abolizione consentirà non soltanto di dare maggiore rapidità e efficacia alle procedure decisionali dell’Unione, ma anche di proseguire il cammino verso un’Unione più stretta, un’Europa federale.
Pubblicato AGL il 28 novembre 2019