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Saltare giù dal carro dell’opposizione

Il procedimento, già sperimentato in altre, non altrettanto eclatanti, situazioni, è relativamente semplice. Prima si costruisce l’avversario, anzi, in, più o meno consapevole, omaggio al detto “molti nemici molto onore”, se ne mettono tanti, senza nessuna distinzione, di avversari in una grande sacca. Non ci si deve curare in nessun modo della loro provenienza, di quello che hanno effettivamente detto ed eventualmente scritto, delle loro differenze passate, della loro cultura, dei loro obiettivi. Trovato (o, meglio, costruito) un minimo comun denominatore, ecco che si può stilare, come ha fatto Paolo Mieli una decina di giorni fa sul “Corriere della Sera”[14 marzo 2018 ndr], ma come hanno prontamente “copiato” altri giornalisti, una lista di intellettuali che agilissimamente sarebbero/sono pronti a saltare sul carro del vincitore, tale essendo reputato il Movimento Cinque Stelle. Se poi, c’è anche un caso esemplare, voilà, gli si dedica un profilo in prima pagina: Aldo Grasso, Stare all’opposizione? Per il Prof è eversivo, “Corriere della Sera”, 11 marzo 2018, con tanto di foto mia e di titoli accademici. Il messaggio non proprio subliminale è: “Vedete dove si può finire oppure, peggio, come ha fatto mai questo tale a ottenere tutti questi ‘onori’ e poi scrivere che in una democrazia parlamentare chi (il due volte ex-segretario del Partito Democratico) si chiama fuori dal sistema compie un atto eversivo?” Naturalmente, “eversione” non è stare all’opposizione, ma stravolgere le regole della democrazia parlamentare negandosi a qualsiasi confronto. Eversione è anche imporre ai propri parlamentari nominati un comportamento oppositivo in spregio al dettato costituzionale dell’art. 67: rappresentare la nazione “senza vincolo di mandato”.

A seguire, su quel carro mi ci mise prontamente, senza nessun controllo del fatto, anche Mieli. Naturalmente, né le motivazioni né le argomentazioni vengono minimamente esplorate e offerte ai lettori. Che poi, da un lato, il Movimento Cinque Stelle abbia avuto i voti di un terzo degli elettori italiani è un elemento raramente menzionato. Che, dall’altro, la linea di un partito non possa e non debba essere dettata da un segretario che ha pesantemente perso le elezioni è un elemento considerato irrilevante. Che, inoltre, esista, seppure sotterraneo, un dissenso su quella linea protervamente oppositiva dentro il PD, lo si può ignorare esclusivamente a scapito di una corretta informazione. Che, infine, nessuno si preoccupi di delineare le alternative per quel partito, ma, in special modo, per dare un governo al paese, è davvero preoccupante.

La mattina in cui i dirigenti del PD salgono al Colle per le consultazioni con il Presidente Mattarella, Mieli giunge a occuparsi de “Le baruffe senza fine in casa PD” [Corriere della Sera 4 aprile 2018 ndr]. Troppo poco, forse troppo tardi. Forse è il caso di interrogarsi se il problema sono le baruffe oppure è l’oggetto (forse anche al plurale) delle baruffe? Ovvero che si tratti proprio di quello che alcuni dei presunti saltatori avevano concretamente posto, vale a dire quale politica deve fare un partito che, pur avendo chiaramente e nettamente perso le elezioni, dispone di circa il 20 per cento dei seggi in entrambe le camere? Di un partito che non può dire “fate voi che avete vinto. Noi andiamo all’opposizione (di quale governo non si sa, quindi, “a prescindere” avrebbe detto il principe de Curtis); sulla base di quale analisi del voto, delle preferenze degli elettori che lo hanno ostinatamente votato, delle motivazioni con le quali due milioni e mezzo di elettori sono andati verso altre scelte, in quantità maggioritaria verso le Cinque Stelle; con quali potenziali proposte, ovviamente bisognerebbe anche conoscere le attualmente inesistenti proposte del governo che non c’è; e ci andiamo soprattutto per rinnovare il partito. Poi magari rifletteremo se stare all’opposizione preconcetta sia (stata) la premessa del rinnovamento di qualsiasi partito.

Comunque, quello che Mieli non ci dice è proprio quello che alcuni degli intellettuali più o meno elastici saltatori hanno cercato di discutere, meglio di imporre alla discussione di quel partito, non solo dei suoi dirigenti, tutti saldamente tornati su comode poltrone grazie ad una legge elettorale che il relatore Rosato (inopinatamente già promosso a vice-presidente della Camera) continua a difendere e per cambiare la quale alcuni addirittura vorrebbero un governo di (mono)scopo. Ci sono baruffe e baruffe, ma se, ipotesi del terzo tipo, la baruffa riguardasse la formazione del prossimo governo che, sicuramente, a Paolo Mieli fautore della governabilità (non, come scrive maliziosamente, del coinvolgimento “in qualche combinazione governativa” che, incidentalmente, è proprio quello che succede nelle democrazie parlamentari) che, secondo lui e molti altri collaboratori del “Corriere”, sarebbe miracolosamente derivata dalle riforme costituzionali renziane, non sarebbe adesso giusto riconoscere che almeno alcuni degli intellettuali hanno posto il problema per tempo e non sarebbe opportuno chiedere al PD che il dibattito interno, i cui effetti riguardano molti milioni di elettori, affronti in maniera democratica senza indugi e senza sotterfugi l’argomento?

Pubblicato il 5 aprile 2018 su PARADOXAforum


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