Il politologo: «Berlusconi avrebbe dovuto lasciar scegliere il candidato a Mara Carfagna»
«Vincenzo De Luca è bravo. E questo, molto semplicemente, è il segreto del suo successo ». Non c’è nessuna formula magica, dunque, dietro la riconferma, con un plebiscito di stampo bulgaro, del governatore uscente. Su questo non ha dubbi il politologo e accademico Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna. «È bravo – evidenzia riferendosi a De Luca – a trovare soluzioni possibili e plausibili. E, con il suo decisionismo, riesce a tenere a freno un popolo che non sempre è disciplinato. Per questi motivi si è ampiamente meritato la rielezione».
De Luca, però, ha stravinto. E anche le sue liste hanno ottenuto migliaia di voti. Come legge questo dato?
Non c’è da meravigliarsi, perché è normale che un candidato ad una carica elettiva monocratica personalizzi la competizione elettorale. De Luca, comunque, resta sempre un esponente del Partito democratico, al di là di qualsiasi altra considerazione.
Secondo lei De Luca può ambire alla leadership del Pd?
Penso che De Luca sappia benissimo che, almeno in questa fase, la sua rimanga una dimensione regionale. In linea di principio, però, io sono contro chi, una volta preso un impegno, ambisce ad altre cariche. Pertanto spero che De Luca in questi 5 anni riesca a portare a termine i suoi progetti in Campania.
Quali dovranno essere, in questa seconda legislatura, le priorità di De Luca?
Non sono un profondo conoscitore dei problemi della Campania. Però De Luca dovrebbe cercare di essere più attento a promuovere il turismo, anche quello d’arte, perché in Campania ci sono tanti tesori. E a far ritornare i cosiddetti cervelli in fuga, offrendo loro la possibilità di fare ricerca. E, poi, come obiettivo principale, dovrebbe riuscire a ridurre la criminalità e la corruzione.
Come contraltare al successo di De Luca c’è la débâcle del centrodestra in Campania…
Questo è un male, perché l’opposizione non deve mai sparire e essere perlomeno decente. Però l’insuccesso del centrodestra era ampiamente annunciato, in quanto ha scelto un candidato, Stefano Caldoro, che aveva già perso.
A quanto pare non è stato possibile trovare un’alternativa a Caldoro…
Se fosse così sarebbe gravissimo. Caldoro è stato scelto direttamente da Silvio Berlusconi, ma in questo caso il cavaliere doveva lasciare più potere decisionale a Mara Carafagna, che conosce bene le dinamiche politiche in Campania. Doveva essere la vicepresidente della Camera a scegliere il candidato, portando anche soluzioni alternative.
Il centrodestra, comunque, a livello nazionale, sembra aver retto…
Sì, la coalizione è andata abbastanza bene, anche se nel suo interno ci sono diversi problemi. Matteo Salvini perde consensi, tant’è che ha pure cambiato strategia comunicativa. E la Lega è sì il primo partito ma in continua perdita di consensi. Giorgia Meloni ha vinto nelle Marche col suo candidato ma ha perso in Puglia. E, nonostante sia un lenta crescita, non riesce a sorpassare la Lega. Forza Italia oramai boccheggia e sopravvive.
Quale giudizio dà del Pd alla luce di questa tornata elettorale?
Tutto sommato positivo. Il Partito democratico ha dovuto sconfiggere due componenti: la destra, che in questi casi riesce a compattarsi, e la sfida di Italia Viva, che ha finanche presentato un proprio candidato, che è andato malissimo, in Puglia. Il pareggio si sarebbe potuto addirittura trasformare in vittoria se nelle Marche non si fosse fatto l’errore di mettere da parte il governatore uscente. Quando c’è la possibilità di schierare ai nastri di partenza qualcuno in carica non bisogna sostituirlo.
Qual è la sua opinione sul Movimento 5 Stelle?
Dal punto di vista dei numeri è andato molto male, perché l’ulteriore perdita di voti conferma la tendenza al declino. Evidentemente non sa scegliere più i candidati e motivare l’elettorato. Se, invece, non prendiamo come metro di paragone le preferenze ma il risultato del referendum, i 5 Stelle ne escono bene. E Luigi Di Maio ha giustamente rivendicato il risultato politico. C’è, tuttavia, un altro dato che, secondo me, deve essere evidenziato.
Quale?
L’astensionismo. È andato a votare soltanto il 45% degli italiani. E dovremmo essere molto preoccupati per questo motivo, in quanto neanche sfide così importanti riescono più a stimolare l’elettorato. Colpa delle politica, che non è più in grado di risolvere i problemi della gente. Perciò sarebbe importantissimo riprendere il discorso con gli italiani.
(gds)
Pubblicato il 23 settembre 2020 su lacittadisalerno.it