Pubblicato sulla rivista Formiche, novembre 2019, n. 152, pp. 6-7
Dov’è? Come mai non fa la sua comparsa? Tutti (quasi) lo cercano nessuno lo trova. Insomma, quando non raccontano del bipolarismo, competitivo oppure feroce, spesso immaginario talvolta muscolare, i commentatori italiani scrivono che sarebbe proprio bello se anche (?) l’Italia avesse un partito di centro –come se un partito di centro esistesse e fosse essenziale in tutte le democrazie che conosciamo. Sul territorio dello stivale, scrivono i nostri commentatori ripiegati sulle non magnifiche e non progressive sorti dell’Italia, è dispersa una (in)certa quantità di elettori che quel (partito di) centro lo desiderano ardentemente. Senza di lui, si sentono rappresentati male, poco, per niente. I più audaci dei commentatori, sulla scia dello sfrontato Berlusconi, si spingono ad affermare che quell’inesistente, centro, sarebbe il veicolo più appropriato per rappresentare i liberali e i “moderati”, per costringere entrambi i poli, che tali non sono, poiché il sistema partitico italiano è definibile come pluralismo destrutturato, a moderare le loro politiche, i comportamenti e le esternazioni, anche quelle su Instagram.
Il fatto che il centro attualmente non esista potrebbe essere dovuto a molti fattori, ma è difficile sostenere che fra questi non si trovi la pessima legge elettorale Rosato, oggi impegnato a costruirlo quel centro attraverso Italia Viva. È altrettanto difficile affermare che il centro si manifesterà immediatamente grazie alla tanto temuta “proporzionale” perché un conto è lo spazio che, certo, la proporzionale apre, un conto, molto diverso è lo spazio che le organizzazioni politiche realmente esistenti (per non gratificarle del termine “partiti”) lasciano. Naturalmente, un “imprenditore politico” (non se la prenda Max Weber se applico la sua categoria al disastrato contesto italiano) quello spazio centrale, se ne ha le capacità, lo crea e lo occupa per farne buon uso. La precondizione è duplice: 1) che vi siano molti elettori italiani collocati grosso modo al centro; 2) che gli astensionisti siano tali perché i due o tre poli, forse quattro, attualmente esistenti, non sappiamo offrire loro proposte mobilitanti, risposte convincenti. Quindi, il quesito è se gli elettori potenzialmente centristi e parte almeno degli astensionisti siano collocabili fra i “moderati”. Vale a dire, coloro che in Italia non si sentono adeguatamente rappresentati vogliono politiche liberali e moderate che né la Lega di Salvini né le Cinque Stelle di, forse, Di Maio, né il Partito Democratico di, forse, Zingaretti, sono in grado di offrire? Oppure, quegli elettori moderati non gradiscono il securitarismo bellicoso del capitano della Lega, il populismo paesano del ridimensionato capo politico del Movimento Cinque Stelle, l’incertismo programmatico del Partito Democratico?
E se i presunti moderati, anche senza tenere conto delle molte differenze al loro interno, non fossero affatto alla ricerca di moderazione, ma si disperdessero lungo lo schieramento politico in base alle loro preferenze in termini di leadership, di stile, di politiche, desiderando quella modalità di rappresentanza definibile come “agire con competenza e assunzione di responsabilità”? Non è affatto detto che un qualsiasi partito di centro sarebbe il meglio collocato per mostrare e fare valere questa qualità. Al contrario, è nella competizione bipolare, favorita da opportune regole elettorali e istituzionali, che emerge nella maniera migliore la rappresentanza politica in grado di soddisfare le aspettativa di una maggioranza di cittadini, moderati e no. Allora, non chiediamo la comparsa di un partito di centro, e meno che mai, diamo per scontato che sia indispensabile per migliorare il funzionamento del sistema politico italiano. Talvolta sì talvolta no, ma non mettiamolo al centro delle preoccupazioni politiche poiché se diventasse l’ago della bilancia assisteremmo alla politica del ricatto contro gli eventuali due poli non ristrutturati.