Il Movimento 5 Stelle è da qualche settimana entrato in affanno. Il passaggio da ampio contenitore della insoddisfazione e della protesta, entrambe spesso giustificabili, degli italiani a componente di una coalizione di governo che deve tradurre il programma in decisioni politiche si è rivelato molto complicato. Gradualmente, ma inesorabilmente, il Movimento ha perso consensi, mentre, altrettanto inesorabilmente e continuamente, la Lega è cresciuta nei favori dell’elettorato. In parte responsabile della crescita della Lega è stato il fenomeno/problema dell’immigrazione, ritenuto il più importante da una quota molto elevata di elettori. In parte è stata la figura fisica di Salvini presente con le sue ruspe e le sue felpe un po’ dappertutto sul territorio nazionale e, quel che più conta, con una base solida e diffusa capace di amplificarne il messaggio. Il Movimento non sembra essersi reso conto che la piattaforma Rousseau può servire al massimo al suo funzionamento interno e ai suoi processi di comunicazione. Non serve, invece, in nessun modo a entrare in contatto con gli elettori, a rassicurare, spiegare, ampliare il consenso per quanto è stato fatto dal governo, a cominciare dal decreto “dignità”. In un certo senso, la politica tradizionale, quella che, tutto sommato, pratica la Lega, facendo affidamento anche su una fitta rete di amministratori locali che il Movimento ha solo in parte e che sono meno preparati, perché neofiti, dei leghisti, ha dimostrato la sua superiorità sulla nuova politica che vorrebbero i pentastellati.
Nella lunga trattativa con la Commissione Europea per la riscrittura della Legge di Bilancio, mentre Salvini ha insistito imperterrito sulla sua volontà di tenere conto anzitutto degli interessi di sessanta milioni di italiani, Di Maio si è limitato a porre l’accento sul reddito di cittadinanza che riguarderà pochi milioni di italiani. Inoltre, chi ha il compito di mediare fra la Commissione e le preferenze dei due contraenti del patto di governo, il Presidente del Consiglio Conte, vicino ai pentastellati, non ha sicuramente la presenza fisica e l’energia di Salvini e ne viene spesso offuscato. Tutti questi elementi, dalla perdita di consenso alla diminuzione della visibilità politica hanno fatto emergere le prime critiche alla leadership di Luigi Di Maio, il capo politico del Movimento. Pur lasciando da parte le disavventure della ditta di famiglia e del padre, è apparso evidente che Di Maio non ha la statura del governante come Salvini. Qualche cenno di Beppe Grillo e qualche dichiarazione sparsa di aderenti al Movimento segnalano preoccupazioni. Come già accaduto nel recente passato, la figura di Alessandro di Battista ha fatto la ricomparsa dai luoghi del suo anno sabbatico di astensione dalle cariche politiche. Le esternazioni di Di Battista, che scavalcano le posizioni più moderate di Di Maio che deve tenere conto del suo ruolo di governo, indicano che un’alternativa è possibile, ma la sua stessa esistenza rischia di indebolire il Movimento.
Pubblicato AGL il 18 dicembre 2018